MOTORPSYCHO: "Motorpsycho" (NFGS, 2025) / 'Un viaggio senza fine nel loro universo sonoro' - di Vanni Sardiello

 


Ci sono band che cambiano pelle a ogni album, e poi ci sono i norvegesi Motorpsycho. Loro non cambiano: evolvono. E nel farlo, restano sempre, dannatamente Motorpsycho. Lo capisci subito dalle prime note del loro nuovo doppio album "Motorpsycho" (sì, titolo omonimo, quasi un manifesto d’intenti) uscito il 21 Febbraio 2025 sulla loro etichetta NFGSUna chitarra che scava nello spazio, un basso pulsante che tiene il tempo come un cuore indomito, una batteria che non accompagna, ma dialoga. E poi quella voce, calda, avvolgente, capace di portarti via. In un attimo, sei dentro. Bent Sæther e Hans Magnus "Snah" Ryan - il nucleo pulsante della band, rimasto in piedi dopo decenni di cambiamenti - tornano con un album che sembra voler dire: "Ehi, sappiamo chi siamo. E lo sapete anche voi". Dopo gli esperimenti più contenuti di "Yay!" e "Neigh!!", qui si riprendono tutto: il prog, il rock massiccio, la psichedelia da trip infinito, il folk ipnotico, persino il blues sporcato di distorsioni.


Il disco si apre con Lucifer, Bringer Of Light, una cavalcata di undici minuti che sa di viaggio interstellare. Riff ossessivo, melodia sospesa, un crescendo che ti avvolge come un vortice. La sensazione è quella di stare dentro un rituale sonoro, qualcosa di primordiale e misterioso. È solo l’inizio. Ci sono momenti più immediati – come Stanley (Tonight’s The Night) e Core Memory Corrupt – dove i Motorpsycho giocano con il pop-rock alla loro maniera: armonie morbide, chitarre che graffiano ma non mordono, groove che ti si incolla addosso. Poi arriva Neotzar (The Second Coming), 21 minuti di pura essenza Motorpsycho. Qui il tempo si dilata, la musica respira, esplode, si contrae di nuovo. È un viaggio nel viaggio, tra richiami krautrock, divagazioni alla King Crimson e quelle atmosfere che solo loro sanno creare.


L’anima della band è tutta qui: un flusso sonoro che può essere caotico e perfettamente calibrato nello stesso momento. Il basso di Sæther guida la nave, mentre la chitarra di Snah disegna paesaggi impossibili. La batteria, questa volta divisa tra diversi ospiti, non perde mai la bussola. E poi c’è il Mellotron, i sintetizzatori, i tocchi di archi e pianoforte sparsi qua e là come briciole di magia. Cosa rende Motorpsycho un disco speciale? Non è tanto cosa fanno, ma come lo fanno. Pochi gruppi hanno un’identità sonora così chiara, così riconoscibile. Che suonino pezzi da tre minuti o suite da mezz’ora, la firma è inconfondibile. È come ritrovare un vecchio amico: il volto cambia, magari c’è qualche ruga in più, ma l’anima è sempre la stessa. 
In definitiva, Motorpsycho è un compendio di tutto ciò che la band rappresenta. Un disco che non sorprende, ma affascina. Che non rompe gli schemi, ma li esalta. Ed è esattamente quello che volevamo.

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