
Questo 2025 ci ha lasciati orfani di BILL FAY (09/09/1943 - 22/02/2025), cantautore londinese dalla storia molto particolare, se non addirittura straordinaria. Studente di elettronica, verso metà degli anni ’60 comincia a muovere i primi passi nella musica dilettandosi a scrivere canzoni. I demo dei suoi primi brani finiscono nelle mani dell’ex manager di Donovan, Peter Eden, che gli procura un contratto discografico con la prestigiosa Deram e nel 1967 pubblica il suo primo singolo (Some Good Advice / Screams in the Ears) che esprime nel lato B ciò che probabilmente i discografici si aspettano da lui, la nascita di un nuovo Dylan, mentre nel lato A è presente la sua vera anima, quella delicata e poetica, che per lungo tempo non è stata compresa. Il suo primo album omonimo "Bill Fay" esce nel 1970 e per realizzarlo viene chiamata una schiera di musicisti jazz ad accompagnarlo che forse poco si adattano alle canzoni intime quali sono quelle di Fay. Il disco non ha grandi riscontri commerciali ma, proprio tra questi musicisti jazz c’è Ray Russell che si lega all’artista londinese e con il quale produce il secondo e più ambizioso lavoro, “Time Of The Last Persecution”, molto più a fuoco rispetto al primo, un capolavoro che diventerà una sorta di cult per alcuni musicisti della generazione successiva che contribuiranno in prima persona a rilanciare la carriera di Fay.

Nonostante la caratura notevole di questo secondo album, l’etichetta discografica lo ritiene troppo cupo e pessimista e non lo sostiene a dovere, con il risultato di un altro flop commerciale. Forse era troppo avanti questo disco per essere compreso, uno dei brani migliori, ad esempio, Pictures Of Adolf Again, riletto oggi fa venire i brividi perché mette in guardia su un possibile ritorno del fascismo nel mondo; fatto sta che la Deram, nel bel mezzo delle registrazioni del terzo album dà il benservito a Bill Fay che non trova più un’altra etichetta discografica disposta a scommettere sul suo talento. A questo punto la carriera di musicista di Bill Fay sembra finita per sempre, inizia a guadagnarsi da vivere lavorando come raccoglitore di frutta, manovale e giardiniere, continuando a registrare, solo per se stesso, musica che nessuno pubblicherà. Bisogna ringraziare la piccola etichetta See For Miles per aver ristampato alla fine degli anni ’90 i primi due lavori dell’artista e in particolar modo Jeff Tweedy, leader dei Wilco, che interpreta dal 2005 un brano di Bill Fay e lo riporta per la prima volta dal 1971 su un palco a suonare con lui due anni dopo. I tasselli del domino, ormai, hanno preso velocità e così un’altra piccola etichetta, la Durtro, pubblica, sempre nel 2005, le canzoni che Fay ha registrato a casa sua tra il 1978 e il 1981 e nel 2010 il cantautore David Tibet, leader dei Current 93, pubblica quelle canzoni registrate per il terzo album che la Deram decise di non mettere sul mercato.
Il momento decisivo per Bill Fay però arriva nel 2012, quando il produttore Joshua Henry lo convince a incidere un nuovo disco di inediti, che viene pubblicato per la Dead Oceans, dal titolo “Life Is People”, che gli fa ottenere, finalmente, la meritata notorietà, apprezzato da pubblico e critica. Seguono negli anni altri due lavori che ne consolidano il prestigio, “Who Is The Sender” (2015) e “Countless Branches” (2020) e, nonostante il morbo di Parkinson negli ultimi anni gli abbia impedito di suonare il suo amato pianoforte, ha continuato a fare musica fino alla fine. Certamente 40 anni hanno separato Bill Fay dal successo ma non lo hanno mai distolto dalla sua arte, a ribadire che non sempre le due cose coincidono e che in fondo il tempo è sempre galantuomo per chi merita.
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